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La storia di Salgadinho

Riportiamo la storia del piccolo Salgado scritta da un nostro socio e sostenitore, Giuseppe Parolari. E’ una delle tante,  molto significativa, a cui abbiamo assistito negli anni all’avvicendarsi dei bambini alla Casa di Accoglienza Arco-iris di Itamaraju.

Quando frei Dilson, responsabile della Casa di accoglienza Arcoiris di Itamarajù nella Bahia brasiliana, vide quell’uomo seduto nell’atrio della Casa, non ebbe più dubbi. Prese il ragazzo per mano e, avvicinatosi al nuovo arrivato, disse: Salgadinho, questo è tuo padre.

Si concluse così una delle tante storie di quella Casa di accoglienza in una realtà tra le più povere del nord-est del Brasile. Una storia iniziata con l’abbandono, dodici anni prima, di un bimbo ancora in fasce alla Rodoviaria, la stazione delle autocorriere sulla BR 101 che collega nord e sud dello Stato. La madre, che non era in grado di accudirlo, lo aveva lasciato – come si usava fare in Brasile – ad una delle fermate della corriera avvolto in un asciugamano, con un biglietto con su scritto un nome: Salgadinho. Una buon’anima di passaggio lo aveva raccolto e portato alla Casa di accoglienza, dove c’erano già altre decine di bambini di strada, meninos da rua (o de rua come sono anche chiamati), alcuni abbandonati, altri mandati sulla strada da genitori che non avevano niente da dar loro da mangiare o erano impegnati nella raccolta di caffè e cacao nelle fazendas dell’interno. Perché non è vero che i meninos da rua non hanno famiglia. Spesso ce l’hanno solo che, al momento del pranzo, invece di essere chiamati in casa come si fa da noi, vengono mandati in strada dove è più facile rimediare un boccone. Ma dove è più facile anche incontrare delinquenti e diventare uno di loro.

Il piccolo Salgado ebbe la fortuna di crescere nella Casa di accoglienza Arcoiris, che tradotto significa Arcobaleno, insieme ai tanti altri fratelli e sorelle acquisiti. Una grande casa costruita all’inizio degli anni Novanta da un gruppo di volontari partiti dalle nostre valli alpine. Preceduti da un container con il materiale necessario, andarono laggiù a completare la scatola che era stata preparata da maestranze locali, a fare i bagni, la cucina, la sala da pranzo, le camere e gli impianti idraulico ed elettrico, oltre alla presa d’acqua per il quartiere. I meninos da rua poterono così lasciare la vecchia baracca in legno per andare a vivere in una casa di mattoni bella, quasi lussuosa. Si, quasi lussuosa, perché Arcoiris e frei Dilson tutte le nuove costruzioni le volevano così: anche i poveri hanno diritto di vivere e studiare in case e scuole da primeiro mundo, dicevano. Li guidava la logica dell’esempio che trascina, tanto che le varie scuole da loro realizzate, man a mano che i Municipi iniziavano a loro volta a costruirle spesso copiandole di sana pianta, venivano trasferite ai Comuni stessi: voleva dire che lo scopo di Arcoiris in quel contesto era stato raggiunto. 

Tornando a Salgadinho, il ragazzo crebbe senza sapere di avere un padre che lo stava cercando. Da quando la mamma se n’era andata col piccolo verso il nord, il papà non aveva mai smesso di cercarli. Trovò infine la poveretta, che aveva seri problemi ma non aveva più il bambino e nemmeno ricordava dove l’aveva abbandonato, forse in una città della Bahia ma non sapeva quale. Ricordava però di aver lasciato il nome sul biglietto. Allora il papà riprese a cercare Salgadinho e lo fece inutilmente per anni fino al 2005 quando, durante il primo mandato di presidente del Brasile, Luiz Inácio da Silva detto Lula organizzò l’elenco nazionale dei bimbi abbandonati con nomi e località dove si trovavano, aperto a tutti per favorire il ricongiungimento con le famiglie. Fu così che, dopo aver visitato tante altre località, quel papà telefonò anche alla Casa di accoglienza Arco-iris e venne a Itamaraju.

Frei Dilson, frate cappuccino che allora era anche sindaco PT (Partido dos Trabalhadores) della città, quando lo vide non ebbe dubbi: padre e figlio erano uguali, due gocce d’acqua. Chiese il documento di identità solo perché doveva mettere le carte a posto. Poi, preparata una valigia con viveri e vestiti, li accompagnò al portone circondato dai bambini della Casa che salutavano Salgadinho il quale, mentre se ne andava, rideva e piangeva insieme: rideva per la felicità di aver trovato il papà, piangeva per la tristezza di dover abbandonare casa sua, la sua famiglia e i più di cinquanta fratelli e sorelle.

Ad oggi sono forse un migliaio i ragazzi che, con gli aiuti giunti in 35 anni dalle nostre zone, grazie a quella Casa hanno potuto allontanarsi dalla strada, crescere, studiare, imparare un mestiere, diventare bravi e consapevoli padri e madri di famiglia. In quell’atrio, insieme a frei Dilson e a Franca presidente di Arcoiris, ricordavamo la storia del piccolo Salgado, che può servire a far capire meglio il significato della solidarietà internazionale e quanto sia importante che anche le nostre Autonomie, con una piccola fetta dei propri bilanci, aiutino quella gente a crescere.”   Giuseppe Parolari